11 febbraio 2011, spazio anarchico 76a

Contro la scuola, di John Taylor Gatto

Scuola: una proposta di discussione, da La miccia di dicembre 2010.

Il secondo incontro proposto da Sprofessori è stato partecipato da una quarantina di persone divise più o meno a metà tra chi è intervenuto per la prima volta nel dibattito sulla scuola al 76a e chi, invece, ha voluto riprendere le fila del discorso già avviato nell’incontro di gennaio. L’introduzione ha messo in risalto il collegamento tra il testo di Gatto e quello de La miccia: il legame stretto esistente tra la vita scolastica ed il potere tecno-industriale, nell’America degli anni 50 (Gatto) così come nell’Europa dei giorni nostri (La Miccia). Il confronto ha evidenziato l’inadeguatezza del paradigma dell’incompetenza mostrando che, prima come adesso, la pianificazione della miseria scolastica è il prodotto delle menti più autorevoli del capitalismo. La perdita di potere della scuola è stata ricondotta a quella della manodopera ad ogni livello, sempre più precaria perché sempre più superflua per il sistema di produzione. È stato sottolineato come l’irriformabilità di questo sistema sociale implichi quella dell’istituzione scolastica, qualunque sia il valore umano che ogni singolo insegnante può avere. Il mostro a tre teste (sbirro, giudice e prete), presente sulla copertina del libretto, riassume la triplice funzione che l’insegnante ha nella società, al di là della volontà e della coscienza. A questa impostazione sono stati rivolti due ordini di critiche, che si possono così riassumere:

  1. un attacco dello stesso tipo di quello rivolto alla professione docente potrebbe rivolgersi a qualunque professione, così come la miseria dell’ambiente scolastico non è senz’altro estranea agli altri luoghi di lavoro o di aggregazione;
  2. visto che si presuppone nella totalità dei partecipanti al dibattito la coscienza della profonda disumanità del sistema sociale che ci circonda, una critica sistemica alla scuola rischia di ripetere cose già dette, senz’altro vere, ma prive di spunti e suggerimenti per l’azione.

Rispetto al primo ordine di critiche, pensiamo che esso non tenga conto di un aspetto: il potere enorme dell’insegnante, che è tanto più pericoloso quanto più è considerato collettivamente un “potere buono”. Pensiamo sia fondamentale riconoscere che, in quanto tale, il potere dell’insegnante vada eliminato e non utilizzato per fare qualcosa di buono. Certo va eliminato anche il potere dei lavoratori che vendono contratti truffa in un call center, ma almeno per essi è attualmente molto più difficile coltivare l’illusione di lavorare per il bene degli altri.

Rispetto alle critiche del secondo tipo, confessiamo che anche a noi è sorto il dubbio di ripeterci, perdendo un po’ di quello slancio emotivo che la discussione aveva all’inizio. Tuttavia ci sembra utile continuare: innanzitutto perché quasi tutte le domande che era nostra intenzione sollevare restano senza risposta; in secondo luogo perché tenere per sé i propri convincimenti troppo a lungo porta all’abbrutimento. Confrontarsi porta magari a non discutere esattamente di quello che si aveva in mente, ma è senz’altro meglio dell’isolamento in cui il sistema ci fa vivere. È ovvio che il prodotto di questo isolamento sia l’incapacità di concretizzare una discussione in azioni condivise collettivamente o, quel che è peggio, l’attesa di una qualunque “risoluzione pratica” a cui accodarsi. Quello che abbiamo da proporre agli altri e che stiamo cercando di realizzare è un metodo basato prima sull’approfondimento individuale e poi sulla condivisione. La diversità di approcci e di analisi non ci spaventa: tanto chi evidenzia l’apatia degli studenti, quanto chi sottolinea l’autoritarismo della struttura (dai presidi ai bidelli), tanto chi disprezza i colleghi gentiliani quanto chi crede che l’apprendimento non dovrebbe essere separato dalla vita; ha ragioni da vendere. Il punto è fare di queste che oggi suonano come opinioni, persino rispettabili, delle idee che mettano in discussione quanto è stato già deciso. Gli unici strumenti sensati, in questa direzione, sono l’azione diretta e l’esperimento: fare qualcosa che evidenzi la possibilità di una visione diversa del mondo e sperimentare cosa succede quando l’idea viene tirata in ballo in mezzo al maggior numero possibile di persone. Qualunque cosa pretendiamo dai nostri figli e alunni (dalle tabelline alla Divina Commedia), è il momento anche per noi adulti di studiare ed imparare qualcosa: come intervenire su una realtà sociale in cui siamo incapaci di decidere alcunché delle nostre vite. Una materia strana, passata di moda dalle nostre parti, che sembra tornare all’ordine del giorno in nordafrica dove ricompare la possibilità di abbattere un regime considerato fino a poco fa inattaccabile.

 

 

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