Scarica il libro Lamento di un matematico e la copertina
Come critici dell’autorità in genere e dell’obbligo scolastico in particolare, ci siamo spesso imbattuti nell’accusa di voler lasciar marcire nell’ignoranza le generazioni future. Dal canto nostro, continuiamo a coltivare il dubbio che la scuola sia una delle cause dell’ignoranza, piuttosto che un rimedio. Se ancora esiste qualcuno in grado di leggere, scrivere e far di conto, ciò avviene nonostante la scuola e non grazie ad essa. La ragione principale di questa nuova pubblicazione di Sprofessori è dunque quella di continuare a riproporre il tema della scuola fuori dal contesto riformista, nazionale e pedagogico.
Il testo che presentiamo suggerisce l’idea che chiunque ami la matematica non può che odiare la scuola. Paul Lockhart è un innamorato della matematica, giunto alla critica dell’istituzione scolastica proprio a partire da quest’amore. Ci vengono in mente le parole che un geniale ventenne, di nome Evariste Galois, scrisse quasi due secoli fa prima di morire in duello.
Chiedete agli uomini di cuore di avere pietà per ciò che accade. Pietà mai! Odio, soltanto. Chi non lo avverte in maniera profonda quest’odio del presente, non può amare veramente il futuro.
L’amore per la curiosità verso un problema semplice ed inutile, per uno sforzo ripagato dalla contemplazione di una bellezza assoluta e per l’autocompiacimento che la scoperta matematica produce è, nel testo di Lockhart, un’unica cosa con l’odio verso le bassezze della vita scolastica, la ripetizione mnemonica di risposte a problemi che qualcun altro si è posto e le prove a tempo che la scuola vorrebbe
spacciare per verifiche di matematica.
TEOREMA. Chi ama la matematica deve necessariamente odiarne quella pantomima spacciata dal programma scolastico.
Profondamente convinto di questa affermazione Lockhart non può fare a meno di inferirne la conseguenza logica:
COROLLARIO. Gli insegnanti di matematica non amano la matematica.
Lockhart temeva di parlare ai sordi e, a giudicare dalle reazioni che la pubblicazione ha suscitato, aveva ragione. Molti hanno letto nel suo scritto un attacco agli insegnanti, un’assurda pretesa di genialità matematica verso dei funzionari statali che «guadagnano poco» e, in fondo, non sono tenuti ad essere dei ricercatori
scientifici. Cosa ancora peggiore, il testo è finito negli scaffali delle librerie nel reparto «didattica della matematica», disciplina di cui Lockhart non ha un’alta considerazione.
Inizialmente, nel 2002 fece circolare informalmente una prima versione dello scritto senza curarsi troppo né di eventuali critici né di ancor meno probabili adulatori. Nel 2007 Keith Delvin, curatore della rubrica
Devlin’s Angle, per la Mathematical Association of America, dopo aver letto una copia del dattiloscritto, decise di contattare l’autore. Nel 2008, il Delvin’s Angle diede spazio al Lamento di un matematico. Delvin è un importante professore della Stanford University, una di quelle università private americane in cui i ricchi possono imparare a dirigere multinazionali, per cui è chiaro che non poteva condividere alcune idee di Lockhart. Nonostante ciò, il Lamento di un matematico ha trovato in Delvin un sostenitore accanito ed è a lui che dobbiamo la diffusione delle idee di Lockhart. La ragione di quest’entusiasmo è presto detta: il libro è, oltre che una denuncia, un ottimo libro di matematica; non solo di introduzione alla matematica, ma anche di idee matematiche e idee sulla matematica. Queste ultime, sono senz’altro molto personali e spesso inconciliabili con altri punti di vista, altrettanto diffusi tra gli specialisti. D’altra parte non è necessario condividere la visione di Lockhart della matematica come «arte della spiegazione» per convincersi che essa ha a che fare con domande, congetture e teoremi e non con campanelle, interrogazioni, compiti in classe ed esami. Un matematico come Delvin, deve essere stato attratto al testo di Lockhart, dalla stessa ragione che lo ha attratto alla matematica: la bellezza della verità. La verità, semplice per quanto impopolare, è che la matematica non ha niente a che fare né con la scuola né con l’ora di matematica. L’imposizione di tempi, schemi, dogmi, gare e filastrocche è non solo distinta, ma agli antipodi dell’attività matematica. L’arte, la scienza, la poesia, la filosofia o la matematica, ammesso che appartengano a categorie separate, hanno tutte bisogno dell’ozio di un animo sensibile. Il fatto che oggi queste attività siano peculiari di alcuni uomini chiamati artisti, scienziati, poeti, filosofi e matematici significa solo che l’umanità non è libera. Lockhart sa che non è in suo potere liberare l’umanità ma, non per questo, rinuncia a liberare una delle sue passioni, quella che egli definisce «la forma d’arte più tipicamente umana». È questo il suggerimento principale che vogliamo raccogliere dal libro: il rifiuto di seppellire le nostre passioni e la nostra umanità,
in fondo a quel mare di stupidità formato da registri, appelli, voti, provvedimenti, direttive o, con una parola sola, burocrazia. Questo rifiuto, passa attraverso il nostro
bisogno di autogestione ed il nostro impegno alla condivisione: un’autogestione ed una condivisione, parziali, siamo d’accordo, visto che l’assuefazione regna sovrana ed i vari profili facebook sembrano bastare al bisogno di autoaffermazione degli individui. Ma un’autogestione ed una condivisione che abbiamo bisogno di praticare almeno un po’, per non perdere del tutto la capacità di apprezzarne gli effetti benefici.
In questa direzione va la scelta di pubblicare un testo che, edito nel 2010 in Italia, è già irreperibile. Per inciso, osserviamo che potrebbe fornire qualche argomento alle ragioni della lettura illegale che ne state per fare il fatto che i diritti di riproduzione andrebbero ad una casa editrice (la Rizzoli) che oggi non è in grado di fornire il libro, la quale a sua volta, ha dovuto accordarsi con un professore universitario (il succitato Keith Delvin) che non ha scritto il libro. Lo riproponiamo con il suo titolo originale e, soprattutto, in quello che consideriamo il suo contesto naturale: il confronto di idee tra persone che nutrono qualche interesse per la matematica.