A dispetto del titolo della locandina, l’incontro al Pensiero e volontà di Benevento non è consistito in una vera e propria “presentazione” di Sprofessori: la descrizione del progetto, di quello che abbiamo fatto e di quello che abbiamo intenzione di fare, ha avuto una parte trascurabile all’interno del dibattito svolto. Da parte nostra, infatti, l’intento principale era quello di confrontare i punti di vista chi la scuola la vive dai lati opposti della barricata: alunni e professori. L’interesse dei compagni di Benevento, invece, sembrava più orientato ad un approfondimento analitico sul ruolo della scuola nella società attuale. Entrambi gli obiettivi non sono stati toccati che di striscio. Ciò che abbiamo messo in discussione, invece, è stata l’opportunità di un’analisi slegata dalla pratica quotidiana, da qualcosa che, almeno un po’, migliori la nostra esistenza in un mondo che non ci piace.
La sociologia – diceva un compagno – è “la scienza che dà una risposta ad ogni domanda stupida”. Per chi frequenta la scuola, chiedersi qual è il ruolo degli studenti o degli insegnanti è peggio che una domanda stupida: è una domanda falsa. Gli studenti sanno di essere dei parassiti dei genitori e che la scuola è il prezzo da pagare per continuare a parassitare. Gli insegnanti sanno di essere i guardiani degli studenti. Le analisi, chiuse nei nostri libretti, servono a poco se non si incontrano con il desiderio di evadere dai ruoli che la società ci cuce addosso. Già… la società. Ma chi o cosa è ‘sta società? Ha senso osservarla come un corpo estraneo, per concludere che la gente “non sa campare”, “non ragiona” o “non capisce”? In cosa ci distinguiamo da “loro” se facciamo gli stessi lavori di merda, la stessa vita infelice e abbiamo la stessa incapacità di provvedere ai nostri bisogni. Certo è già un passo capire che tra i nostri bisogni non c’è il vestito firmato, l’auto del momento o l’i phone ultima generazione. Ma tra questi oggetti e i nostri vestiti non firmati, le nostre utilitarie e il nostro vecchio modello di cellulare c’è solo una differenza di prezzo. Su cosa si basa la nostra presunta diversità? Sul fatto che abbiamo capito che il capitalismo è sbagliato, disumano, violento, invivibile? Ma dove li avete incontrati quelli che mettono in discussione un’affermazione del genere? Nessuno ne dubita seriamente. Non esistono quelli per cui il capitalismo è buono e giusto, ma solo quelli che avvertono l’esigenza di migliorare la propria vita e quelli che rimandano quest’esigenza a domani: quando andrò all’università, quando potrò studiare quello che mi piace, quando la gente capirà, quando faremo la rivoluzione, nella società liberata, e via dicendo. Se uno preferisce giocare a playstation o lavorare per pagare il mutuo o la discoteca, non è perché non capisce che potrebbe vivere meglio, ma perché ha poca voglia di parlare con voi. Se c’è da aspettare, non ha tutti i torti a dedicarsi ad altro. Marta, per esempio, sta imparando a scrivere con la sinistra:
La mia mano sinistra… non sa scrivere, ma ho deciso di allenarla. Ho cominciato un nuovo quaderno… Impiego – ho cronometrato – una media di 48 secondi a rigo, contro i 12 secondi che impiego con la mano destra. Le lettere sono tremolanti, imprecise… oscene! A stento riesco a rileggere quello che scrivo. La mano mi duole dopo soli 7 righi – cinque minuti circa – e dopo10, mi prende un’insofferenza incontrollabile… Non sono diventata pazza. Io la trovo un’ottima sfida. Scoprire nuove capacità… Riabilitare parti addormentate… Resistere all’inibizione delle possibilità…
Quanto all’incontro a Benevento, per me è stato molto utile.
Ho capito che è ampiamente diffusa l’idea che la società sia un corpo estraneo!
Che il messianismo, la propaganda o semplicemente l’educazionismo delle masse sono la preoccupazione principale di chi in questo mondo non ci sta bene
Che il desiderio di tirare un sasso in fronte a uno sbirro è più forte di qualunque altro
Che questo desiderio non è il movimento della volontà verso qualcosa che manca
Che quello che si vuole è più difficile da trovare di ciò che non si vuole
Che lavorare a 3 euro e 50 centesimi l’ora è considerato necessario alla sopravvivenza
Che la sopravvivenza è più acclamata della “vivenza”
Che farsi bocciare e rimanere 10 anni all’università sono (disastrose) manifestazioni di dissenso
Che io preferisco “allenare la mia mano sinistra”
Non credo nel boicottaggio, ma resto dell’idea che finché continuerò ad alimentare questo sistema, come direbbero i miei alunni: “aggia fa o’ cess”! Come direbbe De Andrè: “per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”!