Il progetto “Sprofessori” nasce dalla volontà di attaccare quella visione dell’insegnamento come rapporto professionale, che è propria tanto della discussa riforma scolastica quanto di chi vi si oppone. L’idea dell’insegnamento come rapporto umano, e di ogni rapporto umano come una forma di apprendimento, ci porta invece a considerare la miseria morale e materiale che circonda non solo la scuola, ma tutto il sistema sociale in cui viviamo. Un sistema sociale in cui noi adulti siamo poco o nulla coscienti di ciò che mangiamo, utilizziamo, acquistiamo e produciamo. La scuola non ha fornito questa consapevolezza ai tanti di noi che l’hanno frequentata fino ed oltre la laurea; non la fornirà ai nostri figli e ai nostri alunni che ci ostiniamo a rinchiudervi dentro. La nostra volontà di avviare un dibattito su questo tema è finalizzata alla creazione di momenti di incontro (o eventualmente di scontro) per individuare possibili compagni di idee, con cui avviare percorsi comuni di azione e di lotta. Ci proponiamo di rieditare testi e raccogliere materiali che evidenzino gli argomenti tanto di chi si oppone all’esistenza in sè stessa della scuola e all’inferenza del mondo adulto sulle menti dei giovani, quanto quelli di chi ha avviato esperienze educative di tipo antiautoritario. Di seguito alcune domande che vorremmo la discussione stimolasse ed un primo riassunto delle nostre risposte attuali. Cos’è la scuola pubblica? Perché il governo (non solo in Italia) ha deciso di smantellarla? Vale la pena difenderla? È possibile occuparsi di educazione, dedicandosi ad altro? La scuola, come qualunque attività che consenta ad alcuni di guadagnarsi da vivere, serve gli interessi di chi paga gli stipendi. Nel caso della tanto osannata scuola pubblica, chi paga gli stipendi è il Ministero, ossia lo Stato: val dunque la pena chiamarla scuola di Stato. La scuola di Stato pare stia morendo o, quantomeno, si stia deteriorando. Questa scuola, che per anni ha fornito lo Stato di manodopera ad ogni livello, sta mettendo in discussione le sue fondamenta: l’obbligo (tutti devono andare a scuola) e il merito (solo i più bravi devono diventare classe dirigente). Dopo aver sfornato milioni di persone con i titoli più disparati, adesso lo Stato dichiara candidamente che di tutta questa gente non sa che farsene e che il criterio pedagogico per il futuro sarà un altro: chi può paga ed accede all’istruzione, gli altri … fatti loro. Un po’ brutale è vero, ma potrebbe essere la base per una presa di coscienza. L’educazione torna ad essere competenza dei diretti interessati e, per chi smette di lamentarsi e mendicare alle istituzioni, ciò potrebbe aprire scenari inaspettati.
‘MPARAMMECE
‘Mparammece: voce del verbo ‘mparare, prima persona plurale. L’espressione napoletana comprende i significati di entrambi i termini italiani: imparare e insegnare, dedotti dal contesto (ad esempio me ’mparo= imparo, te ’mparo= ti insegno). Nella vita, contrariamente a quanto avviene a scuola, non c’è una differenza netta tra gli insegnanti (coloro che insegnano) e gli imparanti (coloro che imparano e chissà perché chiamiamo alunni). Nella vita l’apprendimento è un processo piacevole, perché libero. Di più: mettersi in gioco senza paure, ‘mparanno….. è vivere. La nostra idea è quella di alimentare luoghi di condivisione e autogestione del sapere e dell’apprendimento, basati sulle iniziative e i bisogni individuali, piuttosto che sulla scelta tra opzioni prestabilite; sperimentare quella che alcuni hanno chiamato descolarizzazione. Ma è possibile vivere senza scuola? Noi pensiamo lo sia tanto quanto è possibile vivere senza denaro, padroni, eserciti, carceri, stati: ‘mparammece. O almeno proviamoci. Ci rivolgiamo a chi ha voglia di sperimentare cosa accade alla propria vita lontano dal riparo del potere (della cattedra, dello stipendio, del ruolo prestabilito…). Contribuisci un poco pure tu. Lo scopo è quello di sperimentare la libertà e diffondere il metodo dell’autogestione. Se dunque delle seguenti attività scopri che non te ne frega niente… t’‘ej ‘mparato n’ata cosa. Fai qualcos’altro, perché nessuno lo farà per te.